IL DOVERE DI FARSI DOMANDE E CERCARE LE RISPOSTE

L’italiano medio preferisce una medaglia al valore o una pergamena piuttosto che affrontare la burocrazia… e magari subirne gli effetti.

di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)

Si sa che la vita è fitta di enigmi, misteri oscuri e perplessità sia in ambito politico che nei rapporti sociali in genere. Tralasciando quelli relativi ai fatti di cronaca più comuni dei quali si conoscono o si intuiscono cause e responsabilità, ve ne sono altri che fanno ulteriormente pensare. Ad esempio tutti quei fatti di elevata complessità e gravità per via dei molteplici protagonisti coinvolti a vario titolo, direttamente o indirettamente; ma soprattutto tutte quelle vicende di carattere politico che ogni tanto emergono dai mass media e dai vari social dei quali, noi comuni lettori, siamo spesso “disattenti o disinteressati” e non ne ravvisiamo la relativa importanza. È pur vero che entrare nel merito di certe “vicende” bisogna essere, come si suol dire, al di dentro e avere determinate competenze; ma questo non toglie che non ci si debba porre alcune domande e fare delle motivate e lecite congetture sino a giungere a qualche risposta, specie se non poche sono le realtà che ci riguardano tutti da vicino, e cercare di capire le ragioni di tali fenomeni particolarmente in aumento soprattutto in questi ultimi trenta-quarant’anni. Ma partiamo, ad esempio, da tutto quello che è inerente il vasto e per certi versi complesso mondo della Sanità pubblica, abitato dalla collettività, sia operatori che cittadini fruitori. A questo riguardo il primo quesito da porsi è il seguente: per quali (recondite) ragioni il SSN introdotto con grande censo con la riforma 833/1978, da qualche anno a questa parte sta vacillando e scivolando inesorabilmente verso il pianeta della Sanità privata? E quali le ragioni che hanno inteso modificare l’acronimo USSL (Unità Socio Sanitaria Locale) in ASL (Azienda Sanitaria Locale), anche se è facile intuirlo? Ed ancora. Perché si è voluto (o si vuole) variare il termine cittadino-paziente in cittadino-utente-contribuente, pur deducendone il motivo? Quali gli interessi, oltre a quelli meramente politici, per riformare il Titolo V della Costituzione favorendo il cosiddetto “famigerato” e deleterio Federalismo? Ed ancora. Perché al cittadino non è più concessa la possibilità di essere ricevuto da figure apicali della P.A., come avveniva sino a non molti anni fa, per affrontare di persona un problema al fine di addivenire ad una migliore comprensione? Quali altre ragioni per rendere la vita estremamente penosa ai cittadini meno abbienti e più indifesi, che in taluni casi sono costretti ad indebitarsi ricorrendo a difensori togati o addirittura a rinunciare ad un determinato diritto? È pur vero che nel nostro Paese la libera professione in tutti gli ambiti è un diritto, ma è anche vero che l’eccesso penalizza i meno abbienti, sia in campo sanitario che forense, e perché questa ingiustizia anticostituzionale? Perché nessuno fa nulla per ridare libertà e dignità ai detenuti incarcerati innocentemente? E per quanto riguarda la privacy, quali le ragioni che la disattendono? Altro quesito da non sottovalutare: perché produttori e registi propongono film dalla trama truculenta, oltre ad essere intrisa di oscenità, come del resto anche alcuni spot pubblicitari che in taluni casi i messaggi sono privi di pudore… con la pretestuosa scusa di superare certi tabù? E perché è stata abolita la censura, sia pur con certi limiti? Ma il quesito più pregnante è il seguente: in decenni di vita repubblicana (definita “ipocritamente” democratica), quali le ragioni per le quali la stragrande maggioranza degli italiani non si è mai posto il problema (e l’impegno) su come affrontare la burocrazia?  E a questo riguardo, quanti italiani hanno avuto o hanno in casa una copia della Costituzione della Repubblica, oltre al fatto che non saprebbero come “disarmarla” per il semplice fatto che molti degli articoli che la compongono non sono rispettati dalle stesse Istituzioni? Quest’ultimo quesito ne stuzzica un altro: quali sono le vere ragioni che motivano le persone a ricoprire una carica pubblica, sia essa politica o non? A tutti questi quesiti se ne potrebbero aggiungere molti altri, tali da giustificare altrettante congetture con qualche azzeccata risposta, ma mi rendo conto di essere uno dei pochi (non schierato in alcun modo e per nessuno, da sempre) a restare nell’isola del deserto, con questi quesiti ai quali personalmente saprei dare delle risposte, forse non con la massima certezza ma sicuramente molto vicino alle molteplici realtà.

La mia esperienza di cittadino comune è suffragata dal senso civico e quindi dal rispetto delle regole, ma non sempre ho avuto analoghi riscontri da parte delle varie Istituzioni, all’interno delle quali talvolta imperava (ed impera) lo stra-potere, costringendomi ad erudirmi (anche a livello accademico) ed impormi quasi sempre per iscritto di volta in volta per il rispetto dei miei diritti e della mia dignità. E una delle incongruenze è che scrivendo ai Ministeri non si ottiene quasi mai degna risposta. In compenso, però, ogni anno la Presidenza della Repubblica riconosce attestati di merito e benemerenze varie a quei cittadini che si sono distinti in diversi ambiti della vita sociale (a mio avviso agire nel bene e per il bene, quado si può, è un dovere umano e civile). Ma a questi designati vorrei chiedere se non hanno mai avuto problemi burocratici, e se li hanno avuti perché hanno accettato un riconoscimento delle Istituzioni che, a vario, titolo, sono responsabili proprio della burocrazia. Se tutto ciò non è ipocrisia vicendevole, che cos’è? E a proposito del termine dignità lo si pronuncia tutti in ogni occasione, ma quasi sempre è “beffeggiato” o più diplomaticamente eluso, e questo sta a dimostrare che di fronte al potere costituito (maggiore o minore, politico e non) la Persona ha sempre contato e conta poco… Si direbbe che tutto questo rientri nel contesto dell’esistenza umana, e forse per questa ragione molti ritengono inutile farsi domande con la laconica (e arrendevole) affermazione: «Tanto non servirebbe a niente!». Ma sono proprio l’arrendevolezza e l’incoerenza a “tradire” questi cittadini peraltro soliti lamentarsi in piazza e al mercato, o sfogandosi scrivendo ai giornali, non considerando che in tempi ben più tangibili molti si sono sacrificati a vario titolo, mentre altri (da condannare) senza farsi troppe domande hanno reagito con violenza e nella più totale illegalità. Sarò pure un idealista ma allo stesso tempo coerente con quello che impone la razionalità (F. Hegel: «Ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale»), sulle basi dell’onestà intellettuale e con un minimo di avvicinamento al pensiero e all’indole socratica. Riprendendo i quesiti inerenti la Sanità rammento che il sistema socio-sanitario italiano oggi è sempre più fucina di paradossi e contraddizioni (ad eccezione di molte realtà virtuose), ma soprattutto di carenze e disattese che, a mio avviso, si possono contestare con senso civico e secondo le leggi vigenti, precisando che tutto ciò che non è legiferato o normato è quindi di diritto opinabile. Questi ed altri quesiti a mio avviso avrebbero tutti delle risposte ma che ben pochi saprebbero, o vorrebbero dare. Per concludere, non può sfuggire quanto sosteneva il saggista statunitense Norman Kingsley Mailer (1923-2007): «Non vi è impotenza più grande in tutto il mondo che sapere di aver ragione e che l’onda del mondo è sbagliata, e tuttavia quell’onda si infrange su di te». Una sorta di contraddizione a quanto su esposto, ma se all’occorrenza è letta in modo inverso, le mie considerazioni avrebbero ragione d’essere e di esistere ad oltranza!

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