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Ancelotti, da solo, ha messo in crisi calcio, governo e polizia

Il capo della polizia Gabrielli e Giorgetti rispondono a lui, come se fosse un leader politico. La strana storia di un italiano di successo che spiazza tutti con il buon senso

Ancelotti, da solo, ha messo in crisi calcio, governo e polizia

Un convegno a trenta chilometri da casa sua

Carlo Ancelotti non avrebbe mai immaginato che un giorno, a trenta chilometri dalla sua Reggiolo, avrebbero organizzato un convegno sull’ordine pubblico e la sicurezza negli stadi in cui, fondamentalmente, si sarebbe parlato soprattutto di lui. È incredibile come un uomo, da solo, sia riuscito a mettere in crisi il calcio e la politica italiana. E per politica intendiamo anche l’ordine pubblico.

Ancelotti è tornato in Italia come il bambino della favola del re nudo. L’Italia è il Paese del doppio standard, della doppia morale. Che ovviamente vanno indossati con nonchalance. Tutti lo sanno, ma nessuno fiata. Le dichiarazioni vanno nella direzione della pomposità e dell’ipocrisia, tanto poi i fatti non deragliano e seguono il proprio binario. Da sempre e per sempre.

Ma stavolta sul sistema calcio è piombato un italiano anomalo. Un italiano di successo, rappresentante del made in Italy. Uno di cui non si ricorda un gesto scorretto. Né in campo, pur non essendo certo una mammoletta, né in panchina. In tredici anni e circa 400 gare ha subito tre espulsioni. Un allenatore che ha vinto ovunque: a Madrid ha alzato al cielo la Champions più ambita, la Decima, ha vinto a Parigi, a Londra, a Monaco di Baviera. Uno per cui stravedono i più grandi calciatori del pianeta: da Cristiano Ronaldo a Ibrahimovic, senza dimenticare Lampard e Drogba. Per quasi dieci anni resse col sorriso il confronto con Silvio Berlusconi. E regalò al Milano l’ultima e insperata grandeur.

Un italiano da esportazione

Un italiano da esportazione. Uno di quelli per cui l’Italia fa finta di inorgoglirsi, ma poi non vede l’ora di liberarsene quando se lo ritrova davanti ai piedi. Ancelotti parla anche da straniero. Non ha più un dialetto. Non ha una cadenza italiana. Ogni tanto gli scappa il romanesco. Ma è poca roba. Parla da straniero. E, soprattutto, pensa da straniero. Ha messo in crisi calcio italiano, governo e polizia. Lo ha fatto semplicemente con il buon senso. Ha ricordato che negli altri paese europei non ci sono più da un pezzo i cori discriminatori e razzisti nei confronti degli avversari. Col sorriso sulle labbra, senza mai alzare la voce, senza la minima sbavatura linguistica né di comportamento, Ancelotti si è limitato a sottolineare che il calcio italiano è anni indietro rispetto al resto del mondo. Lo ha fatto in ogni incontro pubblico cui è stato chiamato a partecipare: dal festival dello sport a Trento, con Sacchi e Guardiola, alla premiazione per il miglior allenatore italiano.

Suo malgrado, perché non crediamo affatto che fosse un suo obiettivo né una sua aspirazione, è diventato un testimonial politico. Nel week-end le ultime dichiarazioni. Brevi ma efficaci, come direbbe quel tale. “Sembra che il razzismo sia un problema del Napoli, invece è un problema del calcio italiano”. E ieri sera: “Interrompere momentaneamente un partita non è la fine del mondo, vengono interrotte anche per la pioggia”.

“Qui siamo in Italia”

All’estero si sono schierati al suo fianco la Uefa e l’associazione mondiale calciatori. In Italia è andata diversamente. Il capo della polizia Franco Gabrielli, dopo averlo fatto nei giorni scorsi, anche oggi gli ha ricordato che: «Ognuno è libero di prendere le decisioni e le iniziative che ritiene giuste, ma poi è normale che ogni azione abbia una conseguenza». E il riferimento è alla intenzione manifestata da Ancelotti di fermarsi in caso di cori razzisti. Il sottotesto è sempre lo stesso: “siamo in Italia”. Prosegue Gabrielli: «Certi atteggiamenti da parte dei tifosi sono certamente da condannare e stigmatizzare, ma rammento l’etica della responsabilità che coinvolge tutti in base alle azioni assunte e fatte. La decisione finale di sospendere una partita spetta sempre a chi è responsabile dell’ordine e della sicurezza pubblica. Le norme ci sono e parlano chiaro».

Il capo della polizia che in quattro giorni dedica due dichiarazioni a Carlo Ancelotti. Chi glielo doveva dire a Carletto. Anche Giancarlo Giorgetti, di professione sottosegretario alla presidenza del Consiglio, parla dell’allenatore del Napoli: «Se abbraccerei umanamente Ancelotti in caso di sospensione della gara per cori razzisti? Umanamente lo capirei, ma anche lui dovrebbe capire e interrogarsi circa la responsabilità dell’ordine pubblico che va disciplinato: coinvolge 50-60 mila persone che ad esempio dovrebbero lasciare ordinatamente lo stadio». Anche lui dovrebbe capire. Siamo in Italia. Teniamo famiglia. Da noi funziona così. Forse – questo è l’altro retropensiero – Ancelotti è stato troppo tempo all’estero.

L’Italia è Europa ma non è Europa. Bisogna adeguarsi alle regole non scritte di questo Paese. In pochi giorni ad Ancelotti glielo hanno detto il capo della polizia, il ministro dell’Interno e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Non male per un uomo che di mestiere fa l’allenatore di calcio.

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