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Pizzi e Matrecano, destini diversi con Boskov sulla Napoli-Parma

Il primo, erede designato di Corso e Suarez, veniva sempre messo in campo da Vujadin. Il secondo, invece, non legò col tecnico

Pizzi e Matrecano, destini diversi con Boskov sulla Napoli-Parma

Un “globe trotter”, chiamavano così una volta quegli atleti che, come i giocatori di basket americani, cambiavano continuamente casacca e colore di maglia. Due di questi furono, negli anni ’90, Salvatore Matrecano e Fausto Pizzi. Due nomi, due garanzie di veracità. Uno, “Totore” il napoletano, l’altro dal nome più nobile e meno “plebeo”, Fausto il milanese. Il primo, ritiratosi a 33 anni, ha cambiato 12 squadre; il secondo, appese le scarpe al chiodo a 39 primavere, è passato per 15 formazioni. ‘Trottarono’ molto, non il ‘globo’ ma l’Italia intera. Non le citeremo qui tutte ma in comune hanno un passaggio anche nella austera e ‘verdi-ana’ Parma prima di approdare al Napoli.

Salvatore Matrecano, partenopeo purosangue, giocò due campionati, 94-95 e 95-96, in azzurro ma collezionò solo 20 presenze senza nessun gol. Vincenzo Guerini, l’allenatore con il quale il Napoli iniziò la stagione, lo schierava col numero 2 e gli diede fiducia fin dalle prime partite di campionato. Dopo il crollo con la Lazio, 5 a 1 fuori casa alla sesta giornata, arrivò Boskov e da qui cambiarono anche le sorti del giovane difensore. Il tecnico serbo lo impiegò a sprazzi e solo quando ne aveva veramente necessità. Il difensore si sentì messo da parte.

Nell’aria mugugni e malumori, si disse che tra lui e Vujadin l’amore non era mai sbocciato. La verità non è poi molto lontana. A lui venivano preferiti l’esperto Pari, che permetteva uno schieramento più offensivo alla squadra, ma anche carneadi come Luzardi e Grossi che insieme facevano un buon giocatore di serie B. Niente da fare, il colpo di fulmine non scoccò. Una condanna, per lui, la conferma di Boskov per il successivo campionato. Solo una presenza, poi i saluti. Si ripete la storia delle meteore, Boskov vede addirittura Taccola più forte di lui. Salvatore disfa l’armadietto a Soccavo e dice ‘bye bye’ e va in direzione Udine. In questo modo il suo sogno di giocare al San Paolo si infrange per sempre, indossare la maglia azzurra del Napoli per lui è stato come aver sentito un buon profumo, presto svanito nell’aria.

Eppure quando fu mandato in campo, marcò giocatori del calibro di Gullit, Klinsmann e Skhuhravy cavandosela abbastanza bene. La verità è che gli mancò la continuità e la fiducia del tecnico, il suo diesel non riuscì mai a carburare e a riscaldarsi abbastanza. E pesò anche l’eccessiva valutazione che ne fece il Parma quando lo prese dal Foggia dei miracoli di Zeman dove Salvatore era una delle colonne portanti. Quando la squadra pugliese fu smembrata, incassò ben 4 miliardi per la cessione di Matrecano. Un ragazzone dal faccione buono e dalla grinta anche feroce, che forse sentì un peso troppo grande. Rari i miliardi per un difensore. Non era facile arrivare a Napoli, da napoletano, e dimostrare di essere il nuovo Ferrara o il nuovo Cannavaro. Purtroppo non fu così’.

Fausto Pizzi nasce a Rho nel 1967 ed assorbe, nella sua carriera alle giovanili nerazzurre, il Mito della Grande Inter di Herrera. Tra i ragazzini che giocano e sperano di debuttare nella squadra del cuore, Fausto è quello che più assomiglia a due dei fenomeni di quello squadrone, anzi sembra il loro mix perfetto. Se così fosse l’Inter avrebbe trovato il numero dieci ideale per i prossimi 10 anni. Il suo sinistro, il suo modo di trattare la palla, di lanciare in profondità e di smistare per il compagno meglio piazzato, viene subito paragonato a due mostri sacri che lui non ha visto giocare dal vivo, per ovvie ragioni anagrafiche, ma di cui sente l’eco. Parliamo di Mario Corso, mister “foglia morta” e di Luisito Suarez, forse il regista più forte, per tecnica e personalità, che ha avuto il campionato italiano negli anni ’60. 

Pizzi cresce con questi miti in testa, è bravo e riesce a non montarsi la testa. Dopo vari passaggi tra Parma ed Inter, giocati sul filo delle comproprietà, approda all’Udinese e da qui al Napoli nella seconda stagione di Matrecano in azzurro. A differenza di quest’ultimo, però, il giocatore meneghino entra subito nelle grazie del confermato Boskov il quale gli affida le chiavi del centrocampo e lo fa giocare sempre. Anche quando non è in condizione. Salterà solo due partite ma avrà un rendimento molto elevato. A fine campionato, la voce del popolo, i tifosi, lo riconferma a gran voce, è lui di diritto il prossimo regista della squadra targata 1996-97. Invece che accade? Arriva Simoni, ingaggiato da Ferlaino su suggerimento del consulente tecnico Bianchi, e la squadra si trasforma. Beto, eroe in patria, non avrà lo stesso rendimento di Pizzi. Il giocatore brasiliano ispira simpatia, fa delle buone giocate, a qualche vecchio patuto ricorda, per fisionomia, Jarbas Canè ma non convince. Al suo posto ruotano anche Massimiliano Esposito, che centrocampista centrale non è, Pecchia, Boghossian e perfino Altomare quando Simoni perde la trebisonda perchè si è già accordato con l’Inter.

Il Napoli finisce tredicesimo con 41 punti, l’anno prima aveva fatto gli stessi punti ma era finito dodicesimo. Nulla era cambiato, Boskov però aveva lasciato la città col sorriso e la simpatia, Simoni invece scappa, grigio in volto, e a sei giornate dalla fine lascia la squadra in mano a Montefusco a cui va dato il merito di aver salvato il Napoli con 2 vittorie, 1 pareggio e 3 sconfitte. Purtroppo Pizzi fu uno dei pochi bagliori di una stagione dove ormai si era compreso che la società non poteva fare più di quello che fece. La cessione di Cannavaro proprio al Parma fu semplicemente una boccata di ossigeno, le casse azzurre erano semi vuote e quando il regista approdò a Partenope la squadra fu fatta con Ayala, Colonnese, Baldini e Di Napoli. Non proprio il massimo. I risultati furono mediocri, è chiaro che la società non ha più i mezzi economici per mettere su una squadra forte. Partirono da quell’anno le difficoltà che portarono poi alla retrocessione di due anni dopo. Maledetta Parma, matematica condanna alla serie B, Taglialatela in lacrime.

Due gli incontri tra Parma e Napoli dove sono stati protagonisti i due giocatori in esame. Nel primo, il 22 gennaio del 1995, la fortissima formazione di Nevio Scala sconfigge il Napoli 2 a 0 con reti di Asprilla e rigore di Zola. Matrecano, tra i primi ad essere sostituiti dal tecnico, esce per fare spazio a Policano, inserito da Boskov per dare maggiore spinta in avanti con la speranza di recuperare. L’anno dopo, il 6 aprile 1996, in campo c’è solo Pizzi. Un’altra sconfitta, 1 a 0 di misura, segna Apolloni e i partenopei non riescono più a recuperare. La conferma spietata che il “Tardini”, in tutti gli anni ’90, è stata la bestia nera del Napoli che, in dieci anni, vinse solo una volta. Dicembre 1993, Gambaro, Fonseca e Thern, Brolin per gli emiliani. Tre a uno, Fonseca lo marcava un certo Matrecano che, in occasione della rete dell’uruguaiano, fa un clamoroso svarione e consegna su un piatto d’oro il vantaggio al Napoli.

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