I giovedì della poesia: “Era mio nonno”

Tutti i giorni l’alba lo attendeva lungo la via,

incontrandolo poi oltre la curva che lascia il paese

e le ultime case, ove iniziavano le verdi distese

e  i profumi dei campi.

Il nonno vi giungeva arzillo e contento,

con in testa un vecchio cappello di feltro

e con sulla spalla un rastrello e una vanga

ed in una mano tenendo il fagottello col pasto.

Lei magnifica e bella, indossava soffici veli

dai tenui colori aleggianti nell’aria, da cui emanava

stimolante frescura e con sui capelli una ghirlanda di fiori.

Erano duri i lavori nei campi, e la terra per dare

i suoi frutti non ammetteva stanchezze e ritardi.

La terra pretendeva il sudore nei mesi più caldi,

e pretendeva volontà e sacrifici in quelli più freddi.

Giunta che era l’ora del pranzo, sodisfatto sedeva sull’erba,

dal ruscello gelato traeva la fiaschetta del vino

ed iniziava a mangiare quello che dall’orto traeva.

A casa tornava la sera, ripercorrendo i duemila metri

di strada, ed ormai aveva quasi cent’anni.

Era notte profonda quando si alzò e si sorprese lungo la strada.

In cielo vide la luna e vide le stelle.

Non attese l’aurora e si ritrovò per incanto nell’amato suo campo,

raccolse una manciata di terra e la posò sul suo cuore, si sentiva

felice, si sentiva leggero come fu mai, era nell’aria, era nel vento,

nel fresco ruscello, nella cima degli alberi che davano frutti.

Poi si addentrò nella luce.

La mattina lo trovarono esanime nel letto, sembrava dormisse.

Bruno Guidotti

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