UN CORPUS DALLA MASSIMA ESPRESSIONE UMANITARIA IN SANITÀ

Non eroi ma professionisti al di sopra di sé stessi che non hanno bisogno di encomi, bensì di maggior sostegno logistico e strutturale

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico e opinionista)

Durante questo anno pandemico molto si è speso in considerazioni sull’operato dei medici, degli infermieri e dei volontari, oltre che degli Oss. Un esercito in prima linea H24 che non si è mai risparmiato e, per questo, forse, opinione pubblica e mass media li hanno più volte definiti “eroi”. Un attributo che per onestà intellettuale e per razionalità gli stessi interessati più volte hanno rigettato, reclamando invece maggior considerazione e più supporti logistici e strutturali, se non anche (giustamente) economici… senza contare, per quanto implicito, il particolare rischio professionale. Molte sono anche le interviste cui sono stati sottoposti, un po’ ovunque, rilasciando dichiarazioni spontanee dettate più dal cuore e dall’emotività che dalla “giustificazione” del proprio ruolo. Scorrendo la visione dei vari social alcune espressioni li accomuna il senso della paura, precisando che è normale e umano tanto per i medici quanto per gli infermieri, e tutto sommato bisogna andare avanti e guardare oltre… Ma anche il pianto fa da contorno a queste affermazioni: si piange visibilmente e a volte anche di nascosto, e questo anche prima di iniziare il proprio turno di lavoro, o al ritorno a casa tra i propri familiari per trovare a loro volta un po’ di conforto. Questo evento pandemico, che nessuno avrebbe mai previsto, non ha però “disorientato” eccessivamente gli operatori sanitari consci che il proprio dovere non ammette esitazioni di sorta, neppure sapendo che si ammala anche chi cura. Ma in tutti loro vi sono emozioni incontrollate che non si possono celare in alcun modo, ossia di fronte alla costante visione di pazienti che fanno fatica a respirare, e a volte anche con la difficoltà di fare avere loro l’ossigeno necessario per mancanza di erogatori o per carenza di posti letto se non anche di personale dedicato.

Ciò nonostante, neppure quando la stanchezza di quell’infermiere o di quel medico si fa sentire, esausti e impregnati di sudore  a causa della ingombrante divisa che il rischio di contrarre tale patologia impone. Ma se crollano questi operatori chi li cura questi pazienti? Emblematica l’immagine (scattata all’ospedale di Cremona l’8 marzo 2020) dell’infermiera Elena Pagliarini con la testa appoggiata su un lenzuolo piegato e poggiato su una scrivania davanti al computer: il tempo necessario per recuperare un poco di energie e tornare in prima linea, a combattere il coronavirus. Anche i volontari, a seconda delle proprie competenze e dei propri incarichi non mancano a questo appuntamento con l’emergenza Covid perché credono in tale scelta, e anche per loro come per tutti la trincea li aspetta ogni giorno a tutte le ore: ci sono sempre più vite da salvare. Poi subentra anche l’orgoglio di fare parte di una squadra, interna od esterna all’ospedale, della quale tutti rappresentano quella fiamma sempre accesa che si chiama speranza accompagnata da un sorriso strappato alla fatica, ma ben compensato per il solo fatto di averlo potuto donare; come pure una parola o una semplice carezza su un volto segnato dalla sofferenza, non solo per la carenza di ossigeno ma anche per la non vicinanza di un proprio caro: un figlio o un genitore per quel tanto agognato estremo saluto! Essere medici o infermieri, questa pandemia ha insegnato, ma sarebbe più opportuno dire rafforzato, il senso del dovere non solo professionale ma anche (se non soprattutto) umano, i cui sacrifici e dedizione fa sì che li si annoveri non tra gli eroi ma tra i detentori della massima espressione umanitaria.

Non meno emblematica e umanitaria la scena della donna che sta accanto ad un bimbo di pochi mesi, sul letto di una stanza di isolamemto dell’ospedale pediatrico Salesi di Ancona, gli occhi appena visibili dietro la visiera dello scafandro. Lei è l’infermiera Katia Sandroni, professionale e da quel grande senso materno che la lega a quella piccola creatura in un tutt’uno che non ha bisogno di alcun dettaglio, proprio perché il sentimento è universale, planetario… che tocca il cuore di tutti noi, e voglio sperare anche dei no-vax imperterriti negazionisti, poiché la sofferenza ci accomuna con l’intento di ricondurci alla normalità. Per questi esempi, come per tanti altri analoghi, che si ripetono da più parti si vorrebbe proporre questo Corpus a Nobel per la Pace, ma io credo che tale proposta non sarebbe coerente e razionale per il solo fatto che il ruolo di questi operatori rientra nel loro dovere professionale (quindi retribuito), e ciò vale anche per i volontari in quanto azione di libera scelta. Questa mia benevola osservazione esula da ogni intendimento di pregiudizio poiché l’aver contribuito a salvare una vita umana, ritengo essere il più significativo appagamento con il reale valore aggiunto della grandezza interiore… di cui una Persona ha bisogno per essere definita tale. Inoltre, i meriti esteriori si consumano nel tempo, e non dimentichiamo che ci sono sempre più persone che si credono speciali, mentre altre silenziosamente lo sono, proprio come tutti questi “Angeli” salva vita.

La prima immagine è tratta da ChioggiaTV

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