INDIGNAZIONE PER UN PAESE RETROGRADO E NON GARANTISTA

Le molte detenzioni ingiuste sono un gravissimo insulto alla dignità umana e gridano vendetta al cospetto di Dio. In questi casi come si fa a comprendere e a perdonare quando qualcuno ci priva ingiustamente della libertà?

di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)

Ci sarebbe da fare un giro in tutti i Paesi, anche solo europei, per verificare le condizioni detentive nelle rispettive carceri; ma data l’immaginabile notevole realtà in fatto di cause e numeri che hanno determinato la detenzione, è bene restare in casa nostra che, come si suol dire, ne abbiamo da vendere e da pendere. Il problema delle detenzioni è a dir poco una piaga sociale senza fine e paradossalmente non ha avuto mai un principio, tant’è che ogni anno le nostre patrie galere ospitano sempre più detenuti (circa il 40% sono extra comunitari): dalle cronache italiane del 2015 si evince che dal 1992 risultano 24 mila detenuti innocenti e/o presunti tali; inoltre nel 2020 il nostro Paese è risultato con il peggior rapporto detenuti-posti disponibili: 120 per 100 posti e, per questa ragione, l’Unione Europea ha bacchettato l’Italia per l’ennesima volta. Quindi un fenomeno ancora inquietante riguarda le detenzioni ingiuste, gli errori giudiziari e di conseguenza i relativi indennizzi. .. quando riconosciuti. Manco a dirlo, anche in questo caso siamo ai primi posti. Quello che lo Stato ha speso in questi ultimi anni per risarcire chi ha fatto il carcere ingiustamente, lo avrebbe meglio speso per fronteggiare la pandemia, oltre al fatto che molti innocenti avrebbero avuto una vita migliore… e non penalizzata notevolmente sia dal punto di vista fisico e psichico che sociale ed affettivo. Senza contare, poi, i casi di quei detenuti che non hanno la possibilità di assumersi un avvocato (penalista) per la revisione del processo o per far riaprire le indagini; un insulto ai loro diritti e alla loro dignità e ciò non avvalorerebbe il famoso detto: «La legge è uguale per tutti», bensì «La legge è uguale per tutti… salvo le eccezioni di legge», «La legge è disuguale per tutti» e «La legge è uguale per chi se lo può permettere». Non meri aforismi ma constatazioni che dovrebbero far riflettere noi tutti e soprattutto quei togati che per eccesso di zelo, superficialità o per la fretta di “chiudere” il cerchio, emettono sentenze in buona parte discutibili o addirittura assurde penalizzando i malcapitati… convinti di aver esercitato con serenità il loro dovere. Oltre al fatto che ai magistrati a tutt’oggi non viene addebitata alcuna responsabilità civile e/o penale in caso di loro errori in sede di giudizio, e non bisogna sottacere che tutti noi siamo (ogni giorno) potenzialmente a rischio di indagine e inquisizione (in proporzione per certi versi non dissimile da quella del Medioevo) per omonimia, delazione o per una impropria intercettazione telefonica, etc., con il rischio del conseguente arresto, accusa di un reato e conseguente condanna… ovviamente ingiusta. Per non parlare poi dei Codice  Penale e di Procedura Penale la cui applicazione, per reati e responsabilità conclamate, in più occasioni lascia molto a desiderare per “effetto” della non certezza della pena. Un esempio? Per i reati stradali e di stalking (grave e pesante) spesso il reo non subisce la detenzione (o comunque di breve durata), mentre un povero disoccupato ed affamato (magari con famiglia) per il “modesto furto aggravato” di una merendina subisce un processo per direttissima e magari la condanna a sei mesi con la condizionale. Se questa è una equa proporzione significa che chiunque potrebbe fare il magistrato… quindi anche un usciere (sic!). Una ulteriore  causa di sconcerto è data dal fatto che chi ci rappresenta “in primis” non manca di rammentarci ogni volta (specie a fine d’ogni anno) il contenuto e quindi i valori della Costituzione, dando per scontato che debbono essere rispettati da tutti, mentre poco si sa di quando sono le Istituzioni a non osservare la Costituzione. Se questo equivale ad un rapporto fiduciario con chi ci rappresenta, Dio me ne liberi! In compenso, però, se faccio una buona azione, più o meno plateale, un riconoscimento presidenziale è pressoché scontato, magari con il piacevole appellativo di “eroe”.

Brevi cenni di Giurisprudenza

Il 24 ottobre 1989 è entrato in vigore il nuovo Codice di Procedura Penale, che qualcuno subito dopo definì: «Una Riforma tradita» che, rinforzata dalla pubblicazione “La degenerazione del processo penale in Italia” (Ed. Sugarco, 1988) a cura del noto penalista Agostino Viviani (1911-2009). Si trattava di una riverniciatura (quando un non peggioramento) del vecchio rito inquisitorio. Il passaggio al sistema accusatorio resta incompiuto, ossia viene deviato dalla “controriforma preventiva” rappresentata dall’emergenza, e ciò che ne rimane risulterà vanificato dalla pentitocrazia (predominio dei partiti) e dal corto circuito tra procure e media. Senza dilungarmi oltre ed estraniandomi in quanto non addetto ai lavori, un breve cenno meritano, ad esempio, le discutibili “sommarie informazioni” (dichiarazioni spontanee) che fanno capo al magistrato inquirente raccolte dalle Forze dell’Ordine  in assenza (guarda caso) del difensore. Così un Codice che pretenderebbe di qualificarsi con i “caratteri del sistema accusatorio” e di garantire i diritti inviolabili della persona, nella cornice di uno Stato che si proclama di diritto, prevede che la giustizia si abbeveri alla fonte di dichiarazioni che vengono rilasciate (o imposte?) senza alcuna garanzia nella penombra di una caserma o di un luogo di polizia (vedi pag. 47 de’ “Il nuovo Codice di Procedura Penale: una riforma tradita (Ed. Spirali/Vel,1989), appunto, dell’avvocato Viviani; come pure dello stesso autore è la pubblicazione del 1991  “La chiamata di correo in giurisprudenza” (Ed. Giuffré, 1991), con l’intento di seguire l’evoluzione (o l’involuzione?) del concetto di chiamata di correo fino all’entrata in vigore del nuovo Codice, per poi raffrontarla con la nuova regolamentazione e trarne le conseguenze della necessaria prudenza nella valutazione della parola socius criminis (collaboratore o socio nel crimine). E non sono dei casi isolati, che in fatto di dichiarazioni, quando queste sono rilasciate dai cosiddetti “pentiti”, coinvolgano persone totalmente estranee ai fatti, una categoria ignobile in quanto non priva di fratture e debolezze al suo interno, tant’è che a Lucca corre un vecchio detto: «Se i pentimenti fossero camicie, uno avrebbe un bel guardaroba». E c’è da crederci perché come ebbe a precisare il penalista Viviani: «Tra questi individui non c’è quasi mai chiarezza per stabilire la sincerità del pentimento; una condizione, questa, che non di rado trascende in veri e propri atti d’accusa e di delazione per salvarsi o trarre qualunque tipo di vantaggio…». E c’è chi sostiene che la Costituzione sia da modificare, tutta o in parte, ma in realtà basterebbe semplicemente applicarla e quindi rispettarla in tutte le sue parti, a cominciare da chi ci rappresenta. Nel frattempo le vittime dell’ingiustizia sono sempre più. E c’è bisogno di ricordarlo? Mi pare che sia tutta colpa delle indagini preliminari: l’accusa ha una sua ipotesi ma per nulla dimostrata tanto da procedere all’arresto dell’indagato e costringerlo a confessare.

E. Bodini a sinistra – A. Viviani

Il rischio di incorrere in questo “incidente di percorso”, come in altri analoghi, può riguardare tutti noi (in qualunque momento), e sarebbe saggio far tesoro di quanto consigliava, in seguito ad una mia intervista del 1997, l’avvocato Viviani, consiglio che ritengo essere sempre attuale e valido. «La grande maggioranza dei cittadini non si interessa di come la magistratura svolga la sua funzione. Si ritiene che all’onesto non possa capitare di essere coinvolto in questioni per cui si possa mettere in dubbio la probità; ma purtroppo non è così, come gli osservatori meno attenti possono facilmente constatare. Ed allora il suggerimento da dare è semplice. Dobbiamo tutti interessarci dei problemi della giustizia per fare sentire ai magistrati che l’opinione pubblica li segue e li controlla. È consigliabile aderire ad associazioni che si occupano di questi problemi e, soprattutto, seguire la vita politica, osservare quali forze in Parlamento si pongono i problemi della giustizia e come propongono di risolverli. Tra l’altro l’adempimento di questo dovere è reso più facile dal fatto che giornalmente, attraverso la televisione, la radio e la stampa si apprende, da un lato come l’organizzazione giudiziaria si comporta e, dall’altro, come le forze politiche reagiscono di fronte ad ingiustizie, talvolta clamorose. Se il Parlamento lascia che l’attività giudiziaria non violi la legge, ma addirittura intervenga quasi a dettare legge, il cittadino deve preoccuparsi e prepararsi a togliere la sua fiducia a quelli eletti che dimostrano di essere succubi della magistratura». Ma purtroppo la stragrande maggioranza pensa che, essendo onesta, non gli potrà mai accadere nulla di tutto ciò, tanto meno di subire una detenzione preventiva anche se innocente di fatto, e questo, mi porta a concludere che la “vera” giustizia deve essere sempre un fatto di uguaglianza e non di “soggettiva” interpretazione. Del resto, non tutti possiamo avere “l’etico-stoicismo” di Socrate. Un filosofo  che purtroppo non è replicabile…

Nella foto in basso l’articolista a colloquio con l’avvocato Viviani nel 1997 a Torino

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