Adesso Basta! La Scuola si Ribella e sciopera il 10 Dicembre. Manifestazione a Roma.

Scuola sciopero nazionale

Ore 10,30 concentramento a Piramide, in corteo verso il Ministero dell’Istruzione.

di Francesca Lippi

La locandina di questo servizio parla da sola, anzi URLA tutto il disappunto e la rabbia degli insegnanti e degli ATA che ancora una volta si sentono presi in giro nelle loro richieste sacrosante. Uno schiaffo ai lavoratori della scuola che avevano creduto alle promesse che poi, puntualmente, sono risultate vane. Analizziamo i punti del dissenso, il NO FORTE E CHIARO dei lavoratori della scuola alle proposte di un Governo che non si rende conto, ancora una volta, di cosa significhi lavorare nella scuola, essere un docente o un ATA.

Solo 87 euro di aumento previsti nel nuovo contratto, praticamente un’elemosina, un obolo ai quali vanno aggiunti i 12 euro per la valorizzazione del personale docente, legati alla dedizione scolastica. Dedizione scolastica? Ma di cosa stiamo parlando? Ogni insegnante sa perfettamente che se non avesse dedizione per la propria professione non riuscirebbe a sopportare il carico degli obblighi al quale è sottoposto. In primis il fardello della burocrazia, spesso spalmata sul docente, perché le segreterie sono oberate e a corto di organico, le ore e le ore di lavoro non retribuite, per la preparazione dei programmi delle proprie discipline da presentare agli alunni, la correzione delle verifiche, gli incontri, i corsi di aggiornamento, i colloqui, le assemblee, le interclassi, tutte ore che fanno parte di un lavoro sommerso che nessuno considera, perché in fondo cosa possono volere di più gli insegnanti se hanno 3 mesi di ferie all’anno? Ma continuiamo. La differenza attuale tra il resto del personale della PA con pari titolo e il personale della scuola è di circa 350 euro. Nessuna risorsa è prevista per la proroga dei contratti ATA nel cosiddetto organico Covid, eppure la pandemia non è terminata. Nessuna risorsa per l’incremento degli organici docenti e ATA. Nessuna misura per la riduzione del numero di alunni nelle cosiddette classi pollaio. Nessun concorso riservato ai Dsga– acronimo che sta per Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi- facenti funzioni e nessuna risorsa per eliminare le reggenze. Nessuna misura per lo snellimento burocratico e amministrativo, ma restano i vincoli sui trasferimenti del personale docente e Dsga neo immesso in ruolo. E, infine, ma non di minore importanza nessuna iniziativa che dia stabilità al lavoro, con l’attuazione di un sistema strutturale e permanente di abilitazioni.

Insomma, nessuna novità, se non il disinteresse che ormai conosciamo bene alla scuola e a chi da anni la tiene in piedi con impegno e, appunto, dedizione. Basti pensare al periodo che stiamo vivendo e a quello appena trascorso del lockdown dove gli insegnanti si sono dovuti improvvisare esperti di DAD (didattica a distanza) senza mai effettivamente aver mai realizzato questo tipo di interventi e facendolo in modo egregio. Basti pensare al cambiamento della valutazione, inflitto alla scuola primaria come sperimentazione, tirato fuori dal cilindro del nuovo ministro di turno, da effetturare nel giro di pochi mesi, dall’oggi al domani, così per provare. Certo con ottime finalità, ma sempre e comunque sulla pelle dei docenti che hanno dovuto reinventare, in tempi strettissimi, una nuova modalità di valutazione, spiegarla ai genitori, parlarne con i propri allievi e realizzarla per farla metabolizzare da tutti. (E detto così sembra cosa di poco conto, ma ciò sottintende ore e ore di commissioni di valutazione, incontri di team, assemblee di classe ecc.)

Cosa vogliamo ancora dai lavoratori della scuola? Sacrifici, stipendi al limite della sopravvivenza, dignità e figura sociale calpestate spesso da genitori protervi, ragazzi allo sbando, dirigenti incapaci, politici che se ne lavano le mani e affossano un ruolo che soltanto una generazione fa era il pilastro della società.

BASTA! E’ il minimo che la categoria dei lavoratori della scuola può ribadire questa mattina davanti al Ministero della Pubblica Istruzione che oggi si chiama MI, Ministero Istruzione e UR, Università e Ricerca. Sperando che serva. Chiudiamo auspicando che chi continua a maltrattare la scuola e i suoi lavoratori si renda conto una volta per tutte che vesseggiando il comparto scuola si affossa la società e il futuro che ci attende.

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