11 Set 2023

Cemento in Emilia-Romagna, come stanno davvero le cose? – #788

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Nella puntata del 6 settembre abbiamo raccontato di come la giunta Bonaccini, in Emilia Romagna, stesse provando a deregolamentare i piani urbanistici e aprire le porte a nuova cementificazione selvaggia. Solo che, probabilmente, le cose non stanno esattamente così. parliamo anche del terribile terremoto in Marocco e degli stati generali sul clima che hanno riunito le principali organizzazioni che si occupano di clima in Italia.

Se c’è una cosa che ho capito in questi anni lavorando come giornalista è che la realtà è molto più complessa di come appare e il rischio di interpretarla sulla base delle nostre convinzioni pregresse è molto molto alto.

Perché questo preambolo? Perché forse è il caso di tornare sulla questione della giunta Bonaccini e del possibile via libera alla cementificazione in Emilia Romagna, perché potrei aver espresso, sulla base di quello che avevo letto, un parere un po’ frettoloso e soprattutto sbagliato.

Faccio un riassunto. Nella puntata di mercoledì di INMR parlavamo di una delibera regionale approvata dalla giunta dell’Emilia Romagna che rischiava di aprire le porte alla cementificazione nella ricostruzione post alluvione. Nel dare la notizia facevo riferimento ad un articolo di Paolo Pileri su Altreconomia, che sosteneva che questa delibera cancellasse la valutazione ambientale dei piani urbanistici, di fatto aprendo la porta a nuove cementificazioni.

Le cose però sembrerebbero stare diversamente. Per capirlo però bisogna capire meglio di cosa stiamo parlando, quindi vi chiedo di seguirmi in una parte un pochino più tecnica. Partiamo da capire che cos’è una Valsat, che è l’oggetto della polemica. Valsat è un acronimo che sta per Valutazione della Sostenibilità Ambientale e Territoriale ed è una valutazione ambientale e territoriale che serve a fornire un parere su piani e programmi (tipo un piano urbanistico, o una modifica a un piano urbanistico).

La VALSAT non è una procedura nazionale, ma un’invenzione della Regione ER del 2000, molto in anticipo sui tempi, che di fatto anticipava la normativa europea che avrebbe fatto nascere le Valutazioni ambientali Vas), e che integrava le valutazioni ambientali con altri elementi di valutazione, che non sono solo ambientali, ma anche territoriali, ovvero sociali, economici, culturali, paesaggistici. Quindi diciamo che la regione E-R prevede una valutazione particolare, più completa, che integra al suo interno gli aspetti previsti da quella nazionale, la Vas, ma ne prevede anche altri. 

Poi c’è chi dice che grazie a questi fattori Valsat è più completa come valutazione di una semplice Vas, c’è chi dice che gli aspetti ambientali possono essere più facilmente diluiti sulla base di altre valutazioni, vedetela come vi pare, ma questa è la realtà dei fatti.

Ogni volta che si vuole, ad esempio, approvare una modifica ad un Piano urbanistico comunale, la provincia, che è l’ente competente, deve istruire una ValSaT. Ora, la Valsat, come avrete capito, si compone di queste due parti, una ambientale e una territoriale. Quella ambientale riguarda gli aspetti ecologici, climatici, del suolo, della biodiversità, dell’acqua dell’aria ecc, quella territoriali riguarda aspetti economici, sociali, culturali, paesaggistici.

Una legge regionale del 2017 prevede che la valutazione ambientale sia appannaggio dell’Agenzia Regionale per la Prevenzione e l’Ambiente dell’Emilia-Romagna (ARPAE) un’agenzia pubblica in cui lavorano professionisti delle varie discipline ambientali, che appunto deve fornire alle province una valutazione ambientale. E lo stesso afferma la legge nazionale che istituisce la VAS. In pratica Arpae deve fornire supporto (gratuito ovviamente) per la valutazione ambientale e ad esprimere un parere formale. Parere che poi la provincia può, diciamo, superare, fornendo un parere motivato.

In passato, prima del 2017, con la vecchia legge urbanistica, Arpae svolgeva anche il ruolo di supporto nella valutazione territoriale, ruolo che è stato eliminato nel 2017 con la nuova legge urbanistica regionale in quanto ritenuto estraneo alle competenze istituzionali di ARPAE. Per mantenere una continuità col passato, la legge del 2017 prevede però che Arpae possa (non debba, ma possa) essere consultata dalla provincia come supporto anche sulla parte territoriale.  Insomma, ricapitolando: fino al 2017 ARPAE dava valutazioni sia ambientali che territoriali per la Valsat. Dal 2017 resta obbligatoria la valutazione ambientale, mentre su quella territoriale la singola provincia può scegliere se affidarsi all’agenzia o ad altri.

Nel concreto, come mi ha spiegato Alessandro Rossi, responsabile energia di Anci Emilia Romagna, fino a ieri solo in 3 province Arpae dava supporto per la parte territoriale, mentre le altre 6 province si erano rese autonome attingendo a risorse interne o acquisendo sul mercato le competenze necessarie. 

Veniamo quindi alla delibera dello scorso 7 agosto. L’interpretazione di Pileri ed altri – e devo dire onestamente che leggendo la delibera, proprio per via del burocratese con cui è scritta, è molto facile pensare che le cose stiano così – è che venga di fatto cancellata l’obbligatorietà della valutazione ambientale da parte di Arpae. 

In realtà, a quanto pare, la delibera non va a toccare il ruolo di valutazione ambientale di Arpae, ma si limita a chiarire il ruolo dell’agenzia nella valutazione sugli aspetti territoriali. Il fatto che le cose stiano effettivamente così è dimostrato da una ragione che mi sembra in abbastanza incontrovertibile. Anche volendo, la giunta non poteva cancellare il ruolo di Arpae dalla valutazione ambientale. Come la stessa Arpae ha affermato in un comunicato di due giorni fa, e come mi ha ribadito Alessandro Rossi, responsabile Energia di Anci Emilia Romagna una delibera della giunta non può modificare una legge regionale né tantomeno una legge nazionale. 

Ma quindi cosa dice la delibera? Si tratta di una delibera cosiddetta di chiarimento, che non modifica alcuna legge precedente ma si limita a chiarirne e definirne meglio l’applicazione. E afferma che, sostanzialmente, per quanto riguarda la valutazione TERRITORIALE ogni provincia può scegliere a chi rivolgersi e che se sceglie di rivolgersi ad Arpae deve farlo previa la firma di un contratto oneroso. Ovvero: su quel fronte Arpae non è tenuta a fare niente gratuitamente, né la provincia è tenuta a rivolgersi ad Arpae. Questo – mi spiega ancora Alessandro Rossi – sia per garantire omogeneità di comportamenti sul territorio, fra le varie province, ed evitare potenziali conflitti, sia perché si riconosce che su questioni economiche, sociali, culturali, non è detto che Arpae sia particolarmente esperta e magari è più sensato che la provincia si rivolga ad altri consulenti, professionisti, ecc.

Quindi, almeno in teoria, non dovrebbe cambiare molto. In pratica diciamo che è possibile che le 3 province che ancora si affidavano alle valutazioni di Arpae per gli aspetti territoriali, decidano di cambiare consulente. Sul fatto che questo sia un bene o un male, ho trovato pareri discordanti. 

Sempre secondo Alessandro Rossi, i benefici potrebbero superare le criticità. Arpae infatti è molto forte sul lato ambientale ma lo è molto meno su altri. Per spiegarmi meglio cosa questo comporta mi ha fatto due esempi estremi, che però mi hanno aiutato a capire meglio, quindi ve li riporto.

ESEMPIO 1: se io faccio un piano per diffondere il gioco d’azzardo sul territorio perché secondo me porta sviluppo socio-economico cosa mi potrebbe mai dire Arpae, che si occupa di ambiente ed energia? … che se i locali dove si svolge il gioco d’azzardo sono coperti di fotovoltaico, hanno i tetti verdi, un bel boschetto davanti e che conservano tutta l’acqua piovana, va benissimo. Certo non posso chiedere che ARPAE valuti la coerenza del mio piano con altri piani socio-sanitari che si occupano di contrasto e cura della dipendenza dal gioco d’azzardo, o con considerazioni economiche sull’apporto di sviluppo reale del gioco d’azzardo o altre pianificazioni o norme in campo culturale…

ESEMPIO 2: se io faccio un piano che ha come unico obiettivo massimizzare i servizi ecosistemici del territorio e definisco di abbattere tutto il costruito, smontare ogni infrastruttura e eliminare ogni forma di agricoltura per restituire il suolo alla sua naturalità ottengo certo una positiva valutazione sul piano ambientale da parte di ARPAE, ma è evidente che non considero altri aspetti legati al benessere della collettività che sicuramente altre pianificazioni tengono in debito conto.

Ecco perché, secondo Rossi, ARPAE, che è autorità ambientale, non può essere il soggetto che si occupa di valutare aspetti al di fuori della propria competenza. 

Sul tema ho contattato anche Paolo Pileri, autore dell’articolo di denuncia su AltrEconomia, che invece resta convinto del fatto che questa delibera sia molto nociva e dannosa:

“Ammettendo anche che l’interpretazione di Arpae sia corretta, e che il suo ruolo di valutatore ambientale non sia intaccato – interpretazione di cui Pileri non è convinto – decidere di spezzettare i pareri dandone un pò alle province (che subiscono forti pressioni politiche dai sindaci che siedono al board) e qualcosina ancora ad Arpae non migliora le cose. Da quando spezzare le valutazioni ne aumenta l’efficacia e l’efficienza? non mi risulta”. Mi ha detto.

Il mio personale giudizio è che comunque, in fin dei conti, la notizia ne esca perlomeno ridimensionata e che lo scandalo cementificazione, probabilmente, non ci sia. 

Devo dire che questa volta, con ogni probabilità, sono stato io stesso oggetto di un bel bias. Non avendo grossi problemi a credere che la giunta Bonaccini potesse voler cementificare, non ho controllato a sufficienza le fonti né chiesto conferma ad altri esperti, cosa che invece avrei fatto con più cura in caso di una notizia che contraddiceva le mie convinzioni. Piccolo apprendimento per il futuro. Spero (perché coi bias non si sa mai).

Se invece questa interpretazione fosse in qualche modo fallace o ci fossero altri elementi che non stiamo considerando, ci torneremo nuovamente sopra. 

So cosa starete pensando: c’è stato un evento enorme e tragico in Marocco, un terremoto da probabilmente migliaia di morti e tu hai aperto la puntata con una rettifica di 10 minuti su una notizia di qualche giorno fa.

È vero, io stesso sono stato molto indeciso sul da farsi. Vi spiego in 30 secondi la mia scelta. Ovviamente la notizia del terremoto in Marocco, una tragedia di dimensioni enormi, fa impallidire qualsiasi altra notizia e polemica. 

Nel giornalismo però c’è una regola quasi mai rispettata sulle rettifiche. Quando si dà una notizia falsa, o non del tutto corretta, la rettifica deve avere pari dignità rispetto alla notizia originale. Questo per garantire che all’incirca le persone che hanno letto la prima notizia leggano anche la seconda. Quello che invece fanno i giornali è pubblicare lo scoop in prima pagina e poi la smentita a pagina 46, il giorno dopo, dove nessuno arriverà a leggerla.

Solo che non è corretto. E visto che la notizia della cementificazione apriva una mia rassegna, è giusto che anche questa parziale smentita apra una rassegna. 

Detto ciò nei prossimi giorni continueremo di certo a parlare di questo tremendo terremoto. Intanto, comunque, partiamo col dare la notizia, che prendo dal Post:

Nella notte tra venerdì e sabato c’è stato un fortissimo terremoto in Marocco, che ha causato la morte di molte centinaia di persone. Purtroppo in questi casi dare i numeri non ha molto senso, perché continuano a cambiare di ora in ora, ma fino da sabato mattina è stato chiaro che i morti superavano il migliaio, con almeno altrettanti feriti gravi. 

Il terremoto è avvenuto alle 23:11 locali (dopo la mezzanotte in Italia) e ha avuto una magnitudo di 6.8. L’epicentro è stato localizzato a circa 70 chilometri da Marrakech, dove sorge la catena montuosa dell’Atlante. Alcuni dei danni principali si sono registrati proprio a Marrakech, che è una delle più importanti città del paese nonché una delle più densamente popolate, dove sono crollati diversi edifici storici e parte del minareto della moschea nella famosa piazza Jamaa el-Fna. Ci sono stati diversi blackout e per diverse ore le connessioni a Internet non hanno funzionato.

Oltre a Marrakesh, le zone più colpite sono state le sei province che occupano per lo più la zona dell’Atlante. In queste province abitano in tutto circa 10 milioni di persone, molte delle quali in zone rurali e montuose dove i soccorritori stanno facendo più fatica ad arrivare. 

Piccola buona notizia, in mezzo al disastro: nelle ore successive al terremoto moltissimi paesi si sono offerti di inviare aiuti umanitari al Marocco. Tra questi, sorprendentemente, anche l’Algeria, che da tempo ha un rapporto molto complicato con il Marocco e che da due anni ha interrotto completamente le relazioni diplomatiche con il governo marocchino. Da allora lo spazio aereo algerino è chiuso agli aerei civili e militari marocchini, ma sabato le autorità algerine hanno fatto sapere che lo apriranno ai voli che trasportano aiuti umanitari e persone ferite nel terremoto.

In Val D’Ossola c’è stato un incontro molto significativo chiamato Gli stati generali del clima, che serviva a compattare e a far dialogare i vari movimenti che in Italia si occupano di questioni ambientali e climatiche. Come è andato?

Lo racconta Giacomo Talignani su la Repubblica, che inizia con un preambolo: “Poco più di cinque anni fa, seduta fuori dal Parlamento svedese con un cartello in mano, Greta Thunberg diede vita al primo sciopero scolastico per il clima. Da allora, oltre al movimento di Fridays For Future ispirato dalla stessa Greta, sempre più giovani prendendo coscienza della crisi climatica in corso hanno deciso di battersi per arginare l’avanzata del riscaldamento globale”.

“Cortei, manifestazioni, incontri con scienziati, partecipazioni alle Conferenze sul clima, ma anche attivismo passato attraverso azioni non violente ma impattanti per i cittadini, sono state le armi impugnate finora per tentare di mettere pressione sui leader globali invitandoli a uno sforzo per invertire la rotta del surriscaldamento, a partire dalla decarbonizzazione”.

Appelli che – mentre l’evidenza degli eventi estremi sempre più intensi anche questa estate è stata innegabile – in molti casi sono caduti nel vuoto o messi in pratica con troppa lentezza. Anche per questo dal 1° al 3 settembre in Val D’Ossola, durante la terza edizione di Campo Base Festival a Oira Crevoladossola, il mondo dell’attivismo climatico italiano ha deciso di riunirsi negli “Stati Generali del Clima” in modo da “dare vita a una rete italiana per l’azione climatica capace di formulare proposte condivise verso la politica”.

L’idea è quella di un confronto, tra tutte le principali realtà d’Italia impegnate per lo stesso obiettivo, che possa sia rafforzare i vari gruppi esistenti sia progettare in un’unica rete le azioni future necessarie per ottenere risposte dal governo.

Ci saranno per esempio i Fridays For Future (che il 6 ottobre terranno il loro sciopero nazionale per il clima), ma anche Extinction Rebellion Italia, Action Aid Italia, CAI giovani, Cittadini sostenibili APS, Bike pride, Ecologia Politica Network, Fantapolitica!, il Patto europeo per il Clima della Commissione europea, il Collettivo di fabbrica GKN, GYBN Italia, Italian Climate Network, il Comitato nucleare e ragione, la FIAB Torino, The Outdoor Manifesto, il Protect Our Winters Italia, Rete Climatica Trentina, Terra!, The Climate Route, Torino respira, Sai che puoi?, ORA!, Change for Planet, Foglia Tonda, The Carbon Almanac Network e Regeneration Italia.

Fra i gruppi più noti, all’appello manca Ultima Generazione perché, fanno sapere dall’organizzazione degli Stati Generali, “nelle stesse date avevano già in programma una attività interna di team building”.

Al netto delle assenze, il collettivo “Ci sarà un bel clima” che guiderà l’iniziativa ribadisce che lo scopo sarà quello di dare “una voce univoca alle istanze del movimento”.

La tappa durante il Campo Base, festival dedicato alla montagna, alla natura e alla vita all’aria aperta, sarà probabilmente solo la prima di un processo più lungo, di un anno, per tentare di dar vita a una rete unica in cui riunire le varie anime che rappresentano “la pluralità, la varietà e la longevità dei soggetti che si battono per una transizione ecologica rapida e giusta”.

L’idea, spiegano gli organizzatori, è anche quella di riunire realtà divise geograficamente, movimenti appena nati e altri frammentati, sotto la stessa bandiera (anche  comunicativa) degli “Stati generali dell’azione climatica”.

Come ispirazione verranno utilizzati “i metodi partecipativi delle Assemblee dei Cittadini” e “partendo da un primo momento di discussione condivisa, le proposte si svilupperanno in tavoli di lavoro”.

L’iniziativa è aperta a “tutti coloro che condividono questo progetto possono entrare a far parte del processo” e dopo l’evento di settembre sono previsti in autunno una serie di meeting online, nell’inverno 2024 ci sarà il proseguimento del lavoro dei vari tavoli e successivamente, in vista del prossimo settembre, dopo un’assemblea finale verrà presentato un  documento con richieste comuni “da portare ai rappresentanti della società civile e politica, che saranno chiamati a partecipare ad un grande evento finale”.

Ovviamente, ci terremo aggiornati.

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