VOLONTARIATO IN CARCERE CON L’ASSOCIAZIONE “LA BREZZA”

La breve esperienza di una giovane studentessa

di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)

Entrare ogni volta in merito ai drammi umani richiede una forza di volontà, ma soprattutto una grande capacità di immedesimazione, ma nello stesso tempo senza farsi condizionare… La cronaca ci riporta quasi quotidianamente eventi che riguardano il mondo carcerario, con tutte le sue problematiche: sovraffollamento, ritardi nei processi, personale penitenziario sotto organico, conflitti (anche estremi) tra detenuti e agenti di custodia. Ma all’interno della realtà carceraria, come quella torinese, esistono altre realtà poco conosciute o comunque poco divulgate, come ad esempio l’attività del volontariato i cui “protagonisti” sono spesso giovanissimi, anche studenti in corso di lauree umanistiche. Tra questi la studentessa Francesca G. che, durante l’impegno accademico, ha voluto frequentare il cosiddetto “Percorso di volontariato temporaneo”, ha partecipato con l’associazione La Brezza (Odv) ad un laboratorio di “Arte ed espressione del sé” con l’intento non solo di acquisire una nuova esperienza ma anche, se non soprattutto, di contribuire a “valorizzare” il concetto di umanità. Ecco che per intraprendere questo breve cammino, durato alcuni mesi, la giovane neofita ha incontrato l’Associazione di ascolto “La Brezza” (Odv) presieduta da Chanel Iyamu, che le ha dato la possibilità di dedicare per un breve periodo parte del suo tempo libero avvicinandosi ai detenuti della Casa Circondariale di Torino “Lorusso e Cutugno”; una opportunità che le ha permesso di sperimentare sia un’attività ricreativa rivolta ad un singolo detenuto che un laboratorio destinato ad un gruppo. Questa nostra connazionale si apprestava così ad entrare in contatto con un mondo nuovo, non senza agitazione e con una certa dose di emozione, soprattutto perché anche a lei era stato descritto negativamente dalla società e, per questo, dalla sua breve relazione post esperienza rilasciata alla Associazione, si evince un forte senso di giustizia. Guidata in questo tragitto esperienziale dalla veterana del volontariato, signora Lucia Sartoris, past president della Associazione, questa giovane volontaria ha incontrato Giovanni, un detenuto con diverse problematiche di salute e relegato su una sedia a rotelle, con il quale si è iniziato un “programma di lavoro” insieme ad altri detenuti, realizzando nella fattispecie una video-storia con l’ausilio di testi, dialoghi e disegni delle scenografie e dei personaggi. «Questa prima parte del mio percorso – spiega Francesca – è stata particolarmente toccante dal punto di vista emotivo, poiché l’attività non si limitava alla parte artistica. Giovanni mostrava spesso la necessità di parlare del suo passato, affrontando tematiche dell’infanzia e dell’adolescenza, sino al periodo precedente al carcere e ai motivi che lo hanno portato alla detenzione». Questo approccio ha ulteriormente toccato l’animo della volontaria quando ha potuto assistere all’incontro tra Dimitri e i suoi genitori, un momento delicato per aver colto alcuni frammenti del loro dialogo con il figlio detenuto, accompagnato dalle loro espressioni… a dir poco eloquenti. La conduzione del laboratorio artistico con un gruppo di detenuti più adulti, è stato un momento per tutti di entusiasmo dal punto di vista della creatività, realizzando piccole cose inerenti alle imminenti festività natalizie. Accogliendo qualche loro sfogo sul sistema penitenziario in generale, Francesca scrive nella sua breve relazione: «Ciò mi ha offerto l’opportunità di formulare importanti riflessioni, come l’aver maturato la mia pre-esistente opinione riguardo al carcere, in seguito alla quale ritengo che il luogo di detenzione deve essere veramente efficace: non tanto punitivo quanto, invece riformativo e rieducativo… Sia coloro che hanno commesso reati minori che quelli che hanno commesso reati più gravi, dovrebbero avere l’opportunità di conoscersi, di riflettere su loro stessi, sulle proprie azioni e di partecipare a programmi rieducativi che favoriscano un futuro rinserimento sociale, familiare e lavorativo. È essenziale che i detenuti non vengano lasciati soli nelle loro celle, ma vengano coinvolti in attività artistiche, culturali e sportive durante il loro percorso. Questo processo può aiutarli a scoprire competenze e interessi nascosti che potrebbero rivelarsi utili, sia durante la detenzione sia in futuro». Queste sue osservazioni, non solo evidenziano obiettività e razionalità, ma valorizzano l’importanza del volontariato in carcere, un mezzo davvero concreto per far conoscere (sia pur con poco clamore) quella “minuscola società”, sulla quale pendono ancora troppi pregiudizi, non sapendo distinguere la differenza tra emarginazione e reinserimento. Ma per contrastare ciò, sarebbe sufficiente che ognuno di noi varcasse quella soglia per andare ad ascoltare chi voce non ha.

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