INTERVISTA A DANIELA GASPARELLO, ANESTESISTA-RIANIMATORE ALL’OSPEDALE MARTINI NUOVO DI TORINO

Uno scorcio dell'ospedale Martini di Torino

La specializzazione in Anestesiologia e Rianimazione, una disciplina particolarmente impegnativa, che merita di essere maggiormente conosciuta. Ma vi è ancora carenza di operatori ed è sempre più ambita dalle donne.

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

Dott.ssa Gasparello, quali le ragioni che hanno determinato la scelta di specializzarsi in Anestesiologia e Rianimazione?

Daniela Gasparello

“La scelta è a monte, ossia  di aver voluto intraprendere la Medicina e Chirurgia in quanto era mio desiderio dedicare la mia vita al prossimo. Durante il corso di laurea ambivo ad ogni specializzazione, ma dovendo scegliere, Anestesiologia e Rianimazione mi avrebbe permesso di avvicinarmi operativamente a numerose discipline della Medicina, venendo appunto a contatto con tutte le specializzazioni”

Dopo aver conseguito la specializzazione ha trovato subito lavoro?

“Già al terzo anno (quindi a metà percorso) ho avuto un incarico a tempo determinato, anche per il fatto che c’era una notevole carenza di specialisti e in Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria si sono potuti assumere gli specializzandi già dal terzo anno di Corso. Al termine della specialità ho partecipato al concorso per diventare di ruolo, e dal 2005 sono assunta a tempo indeterminato all’ospedale Martini Nuovo di Torino”

Durante il suo percorso accademico è stata insegnata Storia della Medicina?

“È un tema che personalemente trovavo affascinante, ma per la verità da studenti abbiamo avuto “soltanto” degli accenni in quanto è stato dedicato poco spazio… prediligendo, ovviamente molto l’aspetto pratico ma “penalizzando” nel contempo la conoscenza di quelli che sono stati i Padri della Medicina”

L’Anestesiologia si è ampliata nel corso degli anni?

“Sì, con la Rianimazione e la Terapia Antalgica, tanto che tale Disciplina è da ritenersi completa. E, se posso dire, credo che sia tra le specializzazioni più ampie… non ponendo mai alcun limite al campo dell’applicazione ”

Sovente l’anestesita-rianimatore interviene in urgenza-emergenza, e in epoca pandemica ha dimostrato di dare il meglio di sé. Ma quali sono i ritmi a cui è sottoposto dovendosi dividere tra sala operatoria, terapia intensiva e pronto soccorso?

“La nostra organizzazione garantisce il Servizio H24. Un gruppo si occupa della sala operatoria, un altro fa parte della Rianimazione e del Dipartimento Emergenza Accettazione (DEA). L’orario è dalle 8.00 alle 14.00 e dalle 14.00 alle 20.00 (oltre al turno di notte); mentre il turno delle 12 ore va dalle 8.00 alle 20.00. Si turna quindi a volte anche anche in modo “frenetico” quando, ad esempio,  giungono alla nostra attenzione casi particolarmente impegnativi…”

Quali sono i vostri rapporti con i pazienti che manifestano paura, ad esempio, prima di essere operati?

“Cerchiamo soprattutto di rassicurarli, ossia ci poniamo spontaneamente anche in modo psicologico. Tuttavia, a mio parere non sempre  tutto è codificato: spesso si instaura un rapporto di empatia nel quale si cerca di comprendere il paziente in quelle che sono le ansie di quel momento. Tra questi pazienti “più fragili” dal punto di vista dell’emotività, sono comprese un po’ tutte le età, sia anziani sia giovani. Quindi il nostro atteggiamento è quello di  trasmettere loro fiducia e tranquillità”

Quali, invece, i vostri rapporti con il chirurgo, notoriamente coadiuvato da uno o più colleghi, mentre l’anestesista solitamente è “solo” accanto al paziente?

“Nella nostra esperienza c’è un’ottima sinergia tra colleghi anestesisti essendo attive al mattino le 5 sale operatorie nel  corso della “routine” quotidiana, anche se a volte nei casi di urgenza siamo soli. Tuttavia, dobbiamo farvi fronte e superare gli ostacoli più impegnativi… basandoci  sulla nostra esperienza e intraprendenza. C’è comunque una buona collaborazione con i chirurghi che al giorno d’oggi apprezzano maggiormente rispetto ad una volta il nostro operato e, a volte, ci definiscono anche loro “angeli custodi”

Quali i vastri rapporti con i colleghi di altre specialità?

“Solitamente sono buoni in quanto si instaura spesso la necessaria collaborazione”

Cosa ne pensa del tanto “decantato” consenso informato del paziente a voi affidato?

“A mio avviso il consenso informato non rende così “poetico” il rapporto fra medico e paziente, in quanto nel momento in cui si comunica con lui si tende già a creare un’alleanza terapeutica tale per cui si deve fidare, illustrandogli quale sarà il   nostro modo di operare ed è implicito che quello che si farà per lui sarà ovviamente fatto a fin di bene. Più che altro il consenso informato rappresenta un aspetto medico-legale: poco più che una formalità, per quanto necessaria.”

L’infermiere di sala operatoria o addetto alla terapia intensiva, ritiene essere oggi sufficientemente preparato?

“Come per tutti gli ambiti c’è l’infermiere più preparato, più predisposto rispetto ad altri. Per la nostra esperienza al Martini ci troviamo bene dal punto di vista sia relazionale che collaborativo”

La visita anestesiologica, soprattutto prima di un intervento, quanto tempo richiede a fronte del fatto di essere “pressati” dai tempi?

“Il tempo, purtroppo, per certi versi è un “nemico”: si dice che bisogna produrre, ossia concentrare nel minor tempo possibile le visite anestesiologiche anche ambulatorali di ”routine”; ma di fronte a casi con particolari storie cliniche si deve dedicare il tempo necessario”,

Da anni si lamenta a livello nazionale la carenza di anestesisti. Una lacuna che ha origine per effetti di scelte politiche. Qual è il suo parere?

“Da un lato c’è da considerare la disponibilità del numero dei posti di specializzazione, dall’altro bisogna tener presente che è una specialità molto impegnativa, e proprio per questo non tutti i neo laureati hanno la predisposizione per questa specialità, la cui durata del corso, come è noto, è di cinque anni”

Lei ha circa vent’anni di esperienza e recentemente ha  lavorato anche in epoca pandemica. Quali sono state le maggiori difficoltà affrontate?

“È stato un periodo sconvolgente. Personalmente non avrei mai pensato di dover affrontare una situazione del genere, anche a livello emotivo, intervenendo in situazioni cliniche “nuove” e con particolari carenze logistiche, in quanto sembrava di dover affrontare la Medicina “in guerra”. Quindi, la difficoltà maggiore, a mio avviso, è stata  quando si intravedeva  una ipotesi di soluzione per pazienti particolarmente critici, soprattutto in assenza di materiale e di adeguata sede logistica per il necessario ricovero…”

Quando il medico si trova di fronte a queste improvvise e particolari difficoltà, qual è lo stato d’animo in quel momento, almeno il suo?

“Che non avevo studiato per fare questo, proprio per il fatto di trovarsi impotenti di fronte a determinate situazioni e, nel caso specifico della pandemia, il supporto è stato carente e meno giustificato nella seconda ondata. E questo, a mio avviso, credo che si sia manifestato un po’ ovunque, sia pur a macchia di leopardo”

Cosa ne pensa delle “porte aperte” in Rianimazione?

“Per certi aspetti è una prassi positiva, ma nel contempo tale accesso potrebbe rappresentare  un problema quando in una rianimazione i letti non sono molto distanziati l’uno dall’altro, e poco spazio è riservato alle manovre  dell’operatore (medico e infermiere) verso il paziente, per cui il parente capita che si impressioni quando le apparecchiature emettono segnali di allarme”

Dott.ssa Gasparello, la donna medico anestesista  come riesce a conciliare  casa, lavoro e tempo libero specie se tale impegno professionale il più delle volte non ha limiti di orario?

“Conciliare questa triade di impegni ritengo che richieda una impostazione per certi aspetti “militaresca”, soprattutto dal punto di vista organizzativo: non è concepibile ritardare sul lavoro! Può essere “penalizzante” anche per me, come per altri colleghi, affrontare  i turni di notte e i festivi e, per questo, a volte si tratta di fare delle rinunce”

Secondo il suo parere perché questa specialità è più ambita dalle donne medico in particolare?

“In effetti c’è questa prevalenza e in una discreta percentuale, e volendo vedere l’aspetto escatologico, forse è perché la donna dà la vita e fa in modo di mantenerla e di curarla, con chiaro riferimento alla Genesi”.

La foto di copertina è tratta dal Quotidiano Piemontese

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